Guardando al 4 novembre

Il 4 novembre celebra un momento importante per la storia  dell’Italia e delle Forze Armate.

Rievoca eventi con cui con la prima guerra mondiale è cambiata l’Europa. E noi siamo per certi versi figli “della grande guerra” e dell’Europa che ne è conseguita. 

Una guerra terribile  durata quattro anni e originata da un delitto che all’apparenza  sembrava potesse finire lì a livello locale. L’uccisione di un arciduca. Invece ha provocato circa 10 milioni di morti (il doppio di tutti i caduti  nelle guerre del tragico  XIX secolo) e   circa 680 mila morti  tra gli italiani.

Ma sottotraccia del delitto di Sarajevo si nascondeva il caos dell’Europa, con gli interessi coloniali di dominio dei paesi europei,  la crisi dell’impero austro ungarico e del grande impero ottomano. L’Italia ha fatto la sua parte con le sue ambizioni. 

Una guerra  che fu da sbocco inevitabile di un sistema economico sociale e di un certo tipo di relazioni internazionali che avevano come caratteristica la gara delle grandi potenze per la spartizione del mondo.

Difficile sottrarsi alla retorica di una celebrazione che rischia troppo facilmente di evocare nazionalismi e fasti militari. 

Come nascondere che tante volte questa ricorrenza è stata piegata a celebrare il culto delle identità, dei confini, delle patrie esclusive e inospitali. Eppure dobbiamo riconoscere che nella triste malinconia di questa ricorrenza  qualcosa fa resistenza ostinata alla mitologia della guerra. Innanzitutto, questa ricorrenza del 4 novembre, della guerra, ricorda la crudeltà e fa memoria del fatto che le guerre costituiscono il pericolo permanente della storia degli uomini. 

Questi soldati senza nome, tutti convinti di combattere per un mondo migliore, ciascuno dalla propria ideale visione di “ appartenenza”, in gran parte giovanissimi, sottratti per sempre alla  sepoltura. Sottratti quindi a quel gesto elementare in cui una comunità incomincia a raccontare la propria storia, ci restituiscono il carattere tragico della guerra.  

Il suo carattere tragico sta nel fatto che le guerre più temibili e più devastanti si impongono come per fatalità, appaiono persino necessarie, sembrano legate a un bene superiore che si afferma sopra ogni cosa e appare decisivo per le sorti della comunità. Le guerre più devastanti sono quelle in cui le parti in conflitto si sentono in pericolo, accerchiate e comunque cariche di ragioni che appaiono evidenti e inoppugnabili. 

Dobbiamo saper riconoscere che sono le buone ragioni contrapposte a rendere fatale, tragico, sanguinoso,  devastante, il più delle volte lunghissimo,  un conflitto militare. Queste buone ragioni danno in qualche modo ragione ai contendenti e per ciascuna delle potenze coinvolte genera lo spirito di una missione, di un sacrificio e sollecita gesti di eroismo. Sono queste le guerre più temibili poiché il più delle volte sono sostenute da una forza imponente che annulla ogni volontà di pace. 

Occorre augurarsi che una contingenza storica di questo tipo non si presenti mai più davanti ai popoli della terra. 

Oggi la guerra avrebbe effetti catastrofici per la civiltà umana e per la vita del pianeta. Lo sappiamo bene, sappiamo che per decenni ha costituito un importante deterrente,  anche se non dobbiamo sottovalutare mai quanto sia sempre stato forte il nesso tra le crisi economiche e i conflitti militari, tra  l’emergere di nuove potenze economiche con il riequilibrio dello spazio politico mondiale e la tentazione dell’uso della forza militare. 

Difficile dire se vi siano guerre giuste e necessarie. Ci sono le guerre di sterminio, di aggressione, di prevaricazione, di pura conquista, guerre di semplice odio verso il diverso e lo straniero. Guerre diverse dalle precedenti. Sono alimentate il più delle volte dal puro egoismo degli interessi, dall’avidità e dalla ambizione senza freni. 

In questi casi i lineamenti delle cose sono più chiare e il più delle volte non basta reagire con un richiamo al puro ideale della pace. Si rischia la complicità con chi nega e disprezza i diritti fondamentali dell’uomo. Quei diritti che le nostre Costituzioni sanciscono e sono il frutto di una maturazione o comunque di acquisizioni nella sfera della coscienza e del diritto a cui non siamo disposti a rinunciare. Una sfera di diritti per i quali la maggior parte di noi, ormai da generazioni, non è disposta a cedere anche a costo di grandi sacrifici. In questi casi persino la reazione militare, persino una guerra può diventare necessaria. In alcune circostanze è l’unica opzione ragionevole e rinunciarvi rende complici e conniventi con il sopruso e la violenza della sopraffazione.  Se ci sono momenti in cui c’è bisogno di eroi sono sicuramente questi, quando sono minacciati i diritti fondamentali dell’uomo. 

Quando questi diritti sanciti dalle nostre costituzioni democratiche sono in pericolo gli eroi diventano necessari e escono dalle pagine della retorica semplicemente celebrativa. Nonostante l’opzione preferenziale per la pace riconosciamo la necessità di questo eroismo e ci auguriamo non venga mai meno e resti una risorsa morale in ciascuno di noi. Anzi comprendiamo meglio il coraggio di moltissimi di quei giovani soldati svaniti nel nulla che hanno combattuto per degli ideali,  immaginando un mondo migliore per se stessi, per i propri figli, per il proprio Paese.

Novembre 2021,

gianfranco meazza