La violenza contro le donne

una storia antica di discriminazione.

La violenza contro le donne rievoca una storia antica di discriminazione. 

Studi  giuridici e sociali hanno evidenziato come la discriminazione  sia (stata) accompagnata da abusi e violenze. I quali sono correlati a modelli nell’organizzazione sociale e familiare, sul ruolo della donna nel mondo, della sua capacità anche riproduttiva  e nel rapporto di relazione.  Sul controllo dell’uomo mediante il potere dell’esclusività e della appartenenza come se fosse un diritto di proprietà. 

Il modello  “patriarcale” ha contribuito fortemente alla legittimazione e al consolidamento del mito  della supremazia maschile, estesosi al sistema  della cultura, del diritto e della religione. Modello elevato a “nomos”  in cui la donna ha ricoperto il ruolo di secondo sesso, sesso derivato, di sesso sacrificale in quanto solo funzionale all’economia del sistema secondo la logica della riproduzione umana. 

Lo studio del diritto di famiglia e del matrimonio aiuta a capire. 

Quello del “pater familias”. Detentore di potere superiore, personale e patrimoniale. Una sorta di riproduzione in miniatura dei poteri del sovrano. Sul piano culturale questo modello di capo dotato di poteri forti  impermea tutto il tessuto sociale della cultura occidentale,  dall’epoca antica e romana (si pensi al ratto delle Sabine) a quella medioevale, e ancora poi dell’ottocento con  il codice napoleonico  del 1804,  di quello  austriaco, entrambi estesi in Italia. La potestà maritale “sovrana” non è  cessata nei codici successivi preunitari,  del codice albertino o di quelle del Regno di Sardegna,  né in quello unitario Pisanelli del 1865 e del codice del 1942 che nasceva sulle orme del passato.

E’ con la Costituzione del 1948 che si aprono i primi spiragli di un rapporto tra uomo e donna  ispirato ad un impianto giusnaturalistico di uguaglianza non solo morale ma anche giuridica così rompendo con una tradizione secolare. 

Tuttavia la nostra Costituzione scontava (e purtroppo sconta ancora oggi) il limite di essere “carta programmatica” per future riforme. Ciò spiega perché ci sono voluti decenni per giungere all’adozione di nuove politiche familiari dettate dal principio di uguaglianza. Ancora per certi versi da attuare.

Il fenomeno della violenza e della discriminazione nei confronti delle donne  ha iniziato ad essere affrontato concretamente in Italia nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia. Riforma che  ha abolito l’autorità maritale sulla consorte. Prima di allora il coniuge come capo della famiglia (art. 145 codice vecchio testo) veniva autorizzato a far uso 
di “mezzi di correzione” e imporre la disciplina nei confronti non solo dei figli, ma 
anche della propria moglie.

Dobbiamo attendere il 1981 per l’ abrogazione  del “delitto d’onore”,  il quale riduceva le pene per chi provocava la morte della coniuge, della figlia o della sorella nel momento in cui ne avesse scoperto una relazione illegittima o un comportamento che provocasse offesa all’onore suo o della sua famiglia. Così per il matrimonio riparatore che consentiva, a chi avesse commesso uno stupro, di vedere estinto il proprio reato qualora avesse contratto matrimonio con la propria vittima.

Devono ancora trascorrere 15 anni,  con la legge  66 del 15 febbraio 1996,  perché si giunga a modificare  l’impronta culturale e giuridica della violenza sessuale, definita non più come un reato contro la morale e il buon costume ma come reato contro la persona e contro la libertà individuale.

Nel 2001, con la legge 4 aprile n. 154 è introdotto l’art. 342 bis, c.c. recante la disciplina relativa  agli ordini di protezione contro gli abusi familiari  disposti “quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”. La legge introduce anche il gratuito patrocinio a spese dello Stato per le donne, senza mezzi economici, vittime di abusi, molestie e violenze fisiche e psicologiche.

Si tratta, come può constatarsi, dello sviluppo di un percorso lento e graduale. 

Nel 2009 viene introdotto il reato di stalking dell’articolo 612 bis del Codice penale. Nel 2013 viene ratificata la Convenzione di Istanbul (legge 27 giugno 2013, n. 77) sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Qui vengono evidenziate le linee guida per contrastare le discriminazioni di genere, gli atti di violenza e i soprusi subiti dalle donne.

Con la legge 19 luglio 2019, n. 69 sono state apportate nuove modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”) denominate “Codice Rosso”. Sono stati previsti inasprimenti di sanzioni e misure cautelari e un trattamento preferenziale. Per cui la polizia giudiziaria di fronte ad una notizia di reato di violenza domestica o di genere, acquisisce la notizia  e deve riferirla immediatamente al pubblico ministero, il quale a sua volta, in termini strettissimi (tre giorni), decorrenti dall’iscrizione della notizia di reato, dovrà ascoltare la persona offesa o assumere informazioni da chi ha denunciato tali fatti. La velocità e l’immediatezza delle indagini avviene al fine di limitare, il più possibile condotte di violenza reiterata. E’ stato insomma  previsto un lasso di tempo maggiore per quanto concerne la possibilità di poter denunciare.  La persona vittima di violenza avrà 12 mesi rispetto ai 6 mesi previsti in genere dalla legge per poter denunciare.

La problematica necessita di interventi coordinati su più fronti. Serve soprattutto investire sul piano culturale e del costume sociale, per educare i ragazzi al rispetto dell’alterità, al rapporto di coppia, all’impossibilità di  disporre del corpo, all’affettività e alla gestione delle emotività. Solo educando alla costruzione di relazioni sane è possibile creare le basi perché possa cessare o diminuire ogni forma di violenza e discriminazione.

Ovviamente servono le azioni di repressione, di sostegno delle donne vittime di abusi, del trattamento degli autori della violenza. Occorre sviluppare una multidimensionalità di interventi da attuare, in ambito culturale, sociale, psicologico, giuridico e penale. 

Ma è il piano educativo il punto centrale da cui partire, per rompere questo legame tra violenza e disuguaglianza e  promuovere  relazioni uguali tra uomo e donna. Diversamente   ogni altro intervento  diverrebbe complementare e palliativo. 

Novembre 2021

Gianfranco Meazza